Spazio Psi:   Studio di Psicologia e Psicoterapia a Roma

 
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Il disturbo ossessivo compulsivo:

psicologo Roma

L’OCD è un disturbo di personalità del gruppo C insieme all’Evitante ed al Dipendente.
Si manifesta con un quadro pervasivo di preoccupazione per l’ordine, il perfezionismo e il controllo, ed è presente in vari contesti.
Ciò che distingue il disturbo (o nevrosi) Ossessivo-Compulsivo dall’OCD di Personalità è la differenza tra sintomi e tratti di carattere duraturi.
Il paziente che soffre della nevrosi ossessiva è tormentato da pensieri ricorrenti dal contenuto spiacevole ed è spinto a mettere in atto comportamenti rituali. I sintomi sono egodistonici, nel senso che il paziente le riconosce come problematiche e desidera liberarsene.
Al contrario i tratti che costituiscono la diagnosi del OCD di personalità secondo il DSM-IV sono schemi comportamentali duraturi ed egosintonici.
Alcune caratteristiche:
-INTIMITA’.  Le sensazioni generate dalle relazioni di intimità sono percepite come minacciose poichè possono fare “perdere il controllo”.
-CONTROLLO. Il bisogno di controllare gli altri nasce dalla sensazione  che le sorgenti esterne di affetto siano effimere e possano scomparire da un momento all’altro.
-SCARSA STIMA DI SE’. Questa sensazione infantile di non essere valorizzato induce la persona a pensare che gli altri preferirebbero non avere a che fare con lui.
-SENTIMENTI DI AGGRESSIVITA’/DISTRUTTIVITA’. La persona teme che la sua distruttività possa allontanare gli altri o provocare una controaggressione.
-PERFEZIONE. Nutre il segreto convincimento che se sarà perfetto  potrà finalmente ottenere dai genitori l’approvazione e la stima che non ha avuto nell’infanzia.
-STILE COGNITIVO. Cerca di essere perfettamente razionale, logico. I  pensieri sono rigidi e dogmatici. Teme ogni situazione emotivamente non controllata. Pone attenzione al dettaglio a scapito  di spontaneità e flessibilità. Rimugina sulle piccole decisioni perdendo di vista l’obiettivo centrale. Le componenti maladattive sono in genere il perfezionismo, il bisogno di certezza, l’attenzione eccessiva alle regole e al dettaglio che conducono all’indecisione
e alla tendenza a mettere da parte le proprie emozioni e desideri.
I disturbi di solito associati sono: il disturbo d’ansia generalizzato, la depressione, i disturbi psicsomatici, i disturbi sessuali.
Dal punto di vista interpersonale è presente la paura di fare un errore o di essere accusati per l’imperfezione. La ricerca dell’ordine porta ad una posizione interpersonale di biasimo e controllo sconsiderato degli altri. Il controllo si alterna con l’obbedienza cieca all’autorità o a un principio. C’è un’autodisciplina eccessiva, oltre che la limitazione dei sentimenti, una dura autocritica e la trascuratezza nei propri confronti.
Riguardo alla storia familiare, spesso il soggetto veniva giudicato come un bambino terribile; punito perché imperfetto e non ricompensato per i successi; assisteva alla punizione dei fratelli per la loro imperfezione.
Non c’era molto affetto in famiglia, mentre venivano valorizzati perfezione e ordine.
L’incertezza, l’indecisione, l’incapacità di andare avanti o il programmare ed il pianificare sono le conseguenze del suo bisogno di essere perfetti.
Nell’intervento il terapeuta dovrà fare attenzione ai tentativi della persona con questo disturo di essere un paziente perfetto. Poiché l’ostilità è un correlato importante del controllo, il soggetto sarà spesso sul punto di arrabbiarsi. La rabbia deriva dal bisogno di forzare le cose alla perfezione.
Vi è di frequente il rischio di una lotta su chi dovrà assumere il potere. Dando però al paziente una descrizione convincente di sè stesso e una spiegazione ragionevole del come e del perché ha sviluppato questi stili, il paziente diventa collaborativo.
E’ fondamentale, dal punto di vista degli obiettivi della terapia che la persona raggiunga una visione di sé e degli altri “multidimensionale”, relativistica, priva di giudizi e reversibile. E’ inoltre importante l’intervento sui pensieri disfunzionali del paziente: il terapeuta dovrà lavorare insieme al paziente per modificare o reinterpretare le sue convinzioni, in modo da cambiare ccomportamenti ed emozioni.

La diagnosi secondo i criteri del DSMIV-TR:
Un quadro pervasivo di preoccupazione per l'ordine, perfezionismo, e controllo mentale e interpersonale, a spese di flessibilità, apertura ed efficienza, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1)attenzione per i dettagli, le regole, le liste, l'ordine, l'organizzazione o gli schemi, al punto che va perduto lo scopo principale dell'attività
2)mostra un perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti (per es., è incapace di completare un progetto perché non risultano soddisfatti i suoi standard oltremodo rigidi)
3)eccessiva dedizione al lavoro e alla produttività, fino all'esclusione delle attività di svago e delle amicizie
4)esageratamente coscienzioso, scrupoloso, inflessibile in tema di moralità, etica o valori (non giustificato dall'appartenenza culturale o religiosa)
5)è incapace di gettare via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun significato affettivo
6)è riluttante a delegare compiti o a lavorare con altri, a meno che non si sottomettano esattamente al suo modo di fare le cose
7)adotta una modalità di spesa improntata all'avarizia, sia per sé che per gli altri; il denaro è visto come qualcosa da accumulare in vista di catastrofi future
8)manifesta rigidità e testardaggine.

Diagnosi differenziale
A differenza de soggetti con disturbo antisociale e borderline, non manifesta comportamenti irresponsabili, nè presenta eccessi emotivi come l’istrionico e il borderline. Non manifesta infine il disprezzo e sfida dell’autorità tipici del passivo-aggressivo.

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L’incomunicabilità dei pensieri ossessivi: quando i pensieri sono muti

 

La maggior parte della nostra attività mentale è interna. Gran parte dei nostri pensieri sono solo per noi stessi: per lo più non li diciamo, non li mettiamo in atto. Questo è normale.

A volte però ci sono pensieri che ritornano e ritornano più volte nella nostra mente, con insistenza, con invadenza, come una rumorosa e ripetitiva goccia nel silenzio della notte. Sono pensieri muti e senza voce. Pensieri resi "segreti" perché ritenuti troppo gravi, vergognosi, importanti, delicati; oppure di pensieri lasciati nel "non detto" perché banali, poco interessanti per gli altri, poco importanti per chi ascolta. O perché fanno male.

Pensieri muti che restano nella mente e che appesantiscono di gravità e di dolore il vivere quotidiano: ci ritroviamo tristi, stanchi, scontenti o arrabbiati senza un motivo apparente.

Cosa succede quando un pensiero diventa muto? Le emozioni rimangono bloccate ed i comportamenti si irrigidiscono. Un piccolo esempio molto semplice.

1) Pensiero muto

Una signora viene 'sorpassata' durante una coda al supermercato. Non dice niente. Ma ci pensa e ci ripensa: 'non è giusto', 'se mi avesse chiesto di passare avanti avrei detto di sì, ma così..', 'si approfitta della mia disponibilità', etc. etc.

2) Emozione bloccata

Il fastidio del momento ritorna alla mente insieme al pensiero muto e l'emozione rimane bloccata dentro la signora. Le emozioni sono come fiumi: se si blocca il suo corso, il fiume straripa e allaga tutto quello che c'è intorno. Il fastidio per il 'sorpasso' al supermercato dilaga e la signora si sente infastidita anche da altre cose della sua vita (che prima non la infastidivano così tanto).

3) Comportamenti irrigiditi

Arrivata a casa la signora trova la camera della figlia di 8 anni in disordine, la sgrida con durezza e la mette in castigo dicendole 'non è giusto', 'ti approfitti della mia disponibilità' (ma non trova il tempo per dirle brava per il 10 in grammatica).

La psicoterapia

Gli approcci di psicoterapia, anche i più dissimili, hanno in comune l'utilizzo della relazione e del dialogo. Una delle funzioni centrali della psicoterapia è offrire la possibilità di dare voce ai pensieri muti, consentendo esternalizzazione e rispecchiamento attraverso l'ascolto attivo, empatico del terapeuta.

A che serve restituire la libertà di parola ai pensieri muti?

Cosa penso se
lascio i pensieri muti

Cosa penso se
do voce ai pensieri

Parlarne non serve a niente.

Scopro che il problema/pensiero è affrontabile, c'è sempre qualcos'altro che si può fare. E, comunque, già il solo parlarne mi rende il problema/pensiero meno ingombrante.

Sono solo con il mio problema.

Scopro che non sono solo. Non sono il solo ad avere questo problema/pensiero. E, comunque, non sono il solo ad avere un qualche problema/pensiero. Scopro che dietro la maschera da 'Famiglia del Mulino Bianco' anche le altre persone hanno o hanno avuto difficoltà se non uguali comunque paragonabili a quelle mie.

Nessuno mi potrebbe capire.

Scopro che ero io che non permettevo agli altri di conoscermi: se mi sento 'incompreso' la responsabilità è mia almeno per il 50%.

In fondo è poco importante, una banalità.

Scopro che in realtà non è assolutamente una banalità ma che è importantissimo, in primo luogo perché è importante per me. Scopro inoltre che se lo faccio capire agli altri, anche a loro sembrerà importante.

Tanto ormai ci sono abituato.

Scopro che posso dire 'basta!', che posso essere aiutato, che non sono costretto a sopportare una situazione spiacevole e che non sono costretto a farlo da solo.

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